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mercoledì, ottobre 05, 2011

V per Vendetta

V per Vendetta:


Distopia


La nemesi di un sogno, la fine di un ideale, la sconfitta di un popolo, la caduta di una civiltà

Poi, il nulla.

Se ad un uomo viene tolta la sua essenza e il suo ES interiore egli perde la volontà, la forza e la potenza della propria vita.

Il citazionismo è la bellezza della cultura che diviene mecenatismo e, al contempo, la cristallina presenza di una sapienza interiore.

Se in una determinata opera siamo in grado di controllare lo stato, presenziare alla sua iniziazione, possiamo ritenerci fortunati.

Se della stessa opera siamo capaci di comprenderne l’essenza e, ove presente, il messaggio, possiamo ritenerci sapienti.

Ma se un’opera, un film, un fumetto, un libro o una canzone, una statua, un dipinto, una chiesa o una moschea, una grotta, una pittura rupestre, una straordinaria galassia, un cosmo di sensazioni, una scienza mai celata, una innaturale poesia, un fiore, una farfalla o una balena potessero narrare l’inconfondibile essenza della purezza che rappresentano, allora e solo allora avremmo visto la chiarezza della nostra anima che si espande per travalicare la fisicità della carne per scoprire, pienamente, il mistero della vita.

V per Vendetta non è nuovo alla creazione delle sensazioni, V è la perfetta denuncia e il rammarico di alcuni elementi comuni: un uomo, un popolo, una idea.



I popoli non dovrebbero temere i propri governi: sono i governi che dovrebbero temere i loro popoli.


Nella totale presenza citazionistica di un’opera si giunge in un momento in cui le parole di un protagonista divengono il vessillo di una moltitudine di identità: la rappresentazione perfetta delle sensazioni, delle paure e delle angosce di un popolo si riversano nei bui occhi di V.

V è un leone da palcoscenico, è un uomo che è morto senza mai risorgere, è il pianto della vita nei confronti dell’omertà, della follia, della paura stessa.

La pellicola non inficia mai l’opera di Moore e Lloyd e ne riscopre la stupenda chiave che apre la lettura ad una importante interpretazione: “c’è del marcio in questa nazione”.

Assodato che questa è solo una delle possibili letture della graphic novel e del film in sé, ci troviamo davanti ad una spirale rilevante ed avvolgente di eventi.

Se in principio la caduta di un edificio, un simbolo, rappresenta l’origine del rapporto tra V ed Evey (Natalie Portman) il prosieguo è la crescente, o il “crescendo” per citare il buon V, di un piano pensato nei dettagli più piccoli e nei particolari più reconditi.

La verità del film è solo quella che ognuno può capire: la paura è la chiave del dolore; V ne è vittima e portatore allo stesso tempo.

Causa una serie di esperimenti, V è un soggetto ferito nel corpo (un incendio lo ha totalmente sfregiato) e nella mente (non ricorda la sua vita prima degli esperimenti) che decide di vendicarsi dei suoi aguzzini, della follia dittatoriale di un governo fascista e, successivamente scopriremo, sceglie la via della vendetta anche per ciò che è stato fatto ad una donna di nome Valerie.


La storia di Valerie



So che non posso in nessun modo convincerti che questo non è uno dei loro trucchi, ma non mi interessa.

Io sono io.

Mi chiamo Valerie.

Non credo che vivrò ancora a lungo e volevo raccontare a qualcuno la mia vita. Questa è l’unica autobiografia che scriverò e … Dio… mi tocca scriverla sulla carta igienica.

Sono nata a Nottingham nel 1985. Non ricordo molto dei miei primi anni, ma ricordo la pioggia.

Mia nonna aveva una fattoria a Totalbrook e mi diceva sempre che “Dio è nella pioggia”.

Superai l’esame di terza media ed entrai al liceo femminile.

Fu a scuola che incontrai la mia prima ragazza: si chiamava Sara.

Furono i suoi polsi… erano bellissimi.

Pensavo che ci saremmo amate per sempre.

Ricordo che il nostro insegnante ci disse che era una fase adolescenziale, che sarebbe passata crescendo.

Per Sara fu così, per me no.

Nel 2002 mi innamorai di Christina.

Quell’anno confessai la verità ai miei genitori.

Non avrei potuto farlo senza Chris che mi teneva la mano.

Mio padre ascoltava ma non mi guardava.

Mi disse di andarmene e di non tornare mai più.

Mia madre non disse niente, ma io avevo detto solo la verità, ero stata così egoista?

Noi svendiamo la nostra onestà molto facilmente, ma in realtà è l’unica cosa che abbiamo, è il nostro ultimo piccolo spazio…

All’interno di quel centimetro siamo liberi.

Avevo sempre saputo cosa fare nella vita, e nel 2015 recitai nel mio primo film: “Le pianure di sale”.

Fu il ruolo più importante della mia vita, non per la mia carriera ma perché fu lì che incontrai Ruth. La prima volta che ci baciammo, capii che non avrei mai più voluto baciare altre labbra al di fuori delle sue.

Andammo a vivere insieme in un appartamentino a Londra.

Lei coltivava le Scarlett Carson per me nel vaso sulla finestra e la nostra casa profumava sempre di rose.

Furono gli anni più belli della mia vita.

Ma la guerra in America divorò quasi tutto e alla fine arrivò a Londra.

A quel punto non ci furono più rose per nessuno.

Ricordo come cominciò a cambiare il significato delle parole.

Parole poco comuni come “fiancheggiatore” e “risanamento” divennero spaventose, mentre cose come Fuoco Norreno e gli articoli della fedeltà divennero potenti.

Ricordo come “diverso” diventò pericoloso.

Ancora non capisco perché ci odiano così tanto.

Presero Ruth mentre faceva la spesa.

Non ho mai pianto tanto in vita mia.

Non passò molto tempo prima che venissero a prendere anche me.

Sembra strano che la mia vita debba finire in un posto così orribile, ma per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno.

Morirò qui… tutto di me finirà… tutto… tranne quell’ultimo centimetro…

Un centimetro… è piccolo, ed è fragile, ma è l’unica cosa al mondo che valga la pena di avere.

Non dobbiamo mai perderlo, o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino…

Spero che chiunque tu sia, almeno tu, possa fuggire da questo posto; spero che il mondo cambi e le cose vadano meglio ma quello che spero più di ogni altra cosa è che tu capisca cosa intendo quando dico che anche se non ti conosco, anche se non ti conoscerò mai, anche se non riderò, e non piangerò con te, e non ti bacerò, mai… io ti amo, dal più profondo del cuore…

Io ti amo.


Valerie



La parte centrale della pellicola, la parte in cui abbiamo compreso cosa significhino parole come “rivoluzione” o “vendetta”, parole come “libertà” divengono di una limpidezza esaltante e fulgida; la parte in cui diviene chiaro che Evey è vittima del sistema è anche il momento in cui, la più bella delle storie viene mai narrata.

Valerie è una donna che subisce le stesse violenze di V, è la donna che è nella cella fianco alla sua.

Valerie è una cavia da laboratorio, è una vittima inconsapevole del terrore, Valerie è la fisica morte di una epoca.

Prima della fine, prima della straziante parola ultima di una persona prigioniera, Valerie era una donna.

Innamorata: immaginifica la scena in cui lei e Ruth si baciano, col tramonto che fa da cornice al loro amore più puro, come se il creato benedicesse l’essenza stessa della vita.

Non è possibile, in alcun luogo di questo nostro mondo, in alcun aspetto, cultura o frangente; non è possibile sottrarsi all’amore.

E non è possibile farlo in nessuna delle sue forme.

Ecco che Valerie diviene lo specchio della lotta e della repressione del diverso, eccola mentre ama Ruth e vive il sogno della sua vita, eccola mentre ammira le Scarlet Carson sul suo balcone e comprende la bellezza della natura umana e la sua forza più pura.

Poi il tempo e gli eventi arrivano a portare il dolore e tutto ciò che era stato creato viene spazzato via senza alcun senso.

Nella lettera di Valerie è possibile leggere anche la stupida credenza dell’uomo che l’omosessualità sia un male, che il diverso sia da scansare, che il colore della pelle sia una classificazione di superiorità o inferiorità, che tutto ciò che è esterno alle classiche vedute dei normali sia negativo e vada, senza remore, represso.

Lapidarie due delle frasi della donna:


Ancora non capisco perché ci odiano così tanto.


…per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno.


Ende


V da inizio alla sua personale cerca della vendetta.

V sprona il popolo britannico alla ribellione silenziosa, fatta “solo” della sua stessa presenza.

V è il padre di tutti ed è la perfetta unione tra cuore di una nazione e furore di un popolo.

Hugo Weaving riesce là, dove in molti falliscono: animare un volto fermo, una maschera, un uomo finito.

La sua interpretazione denota uno spessore che travalica la bellezza del sonoro, della regia di McTeigue e della colonna sonora stessa (Cry me a river di Julie London, su tutte).

Se le caratterizzazioni dei singoli personaggi risultano impeccabili e sibilline in ogni aspetto, la presenza scenica di V e la costante fermezza di Evey rendono questo, uno dei cinecomic più belli di sempre.



Le soluzioni adottate nella pellicola e alcune delle differenze con la novella grafica di cui sopra rendono una fluidità non indifferente, senza mai sfociare in visioni mai dette o in orpelli.

La bellezza di V non è fine alla pellicola ma al messaggio e alle parole che usa per comunicare con coloro a cui tende.

Il continuo citare Edmond Dantes e il Conte di Montecristo è una delle scelte più riuscite per mirare al cuore del senso della Vendetta, intesa come giustizia ingiusta, come conclusione di un cammino, come fonte reale dell’odio.

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